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Il 10 giugno 1981 comincia il dramma di Alfredino Rampi Attualità 

Il 10 giugno 1981 comincia il dramma di Alfredino Rampi

Sono trascorsi quaranta due anni da quando a Vermicino, vicino a Roma, moriva Alfredino Rampi, 6 anni, caduto in un pozzo artesiano. Era il 10 giugno del 1981, quando il papà del piccolo chiamò allarmato la polizia perché il figlio non era tornato a casa. Per salvarlo venne tentato di tutto. La Rai seguì il caso con una diretta lunga 18 ore. Il Paese si fermò, gli occhi appiccicati allo schermo, sperando in un lieto fine mai arrivato. La famiglia Rampi stava trascorrendo una vacanza nella seconda casa, a pochi passi da Roma. Papà Ferdinando, mamma Franca, due amici e il figlio Alfredo: erano andati a fare una passeggiata e il bambino aveva chiesto al papà di poter continuare la strada da solo. A casa non arrivò e subito fu dato l’allarme. Lo cercarono tutta la notte, la famiglia, i vicini di casa, le forze dell’ordine. Il brigadiere Giorgio Serranti individuò il pozzo, chiuso da una lamiera e lo fece lo stesso ispezionare. Alfredino era lì. In un secondo momento si scoprì che il proprietario del pozzo e del terreno lo aveva chiuso, non immaginando che qualcuno potesse esservi caduto dentro. Il pozzo artesiano era profondo circa 30 metri, con un’apertura larga non più di 30 centimetri: i soccorsi furono fin da subito complicatissimi. Si cercò di calare una tavoletta di legno che però si incastrò a 24 metri. Poi si pensò di scavare due tunnel a fianco, verticale e orizzontale, per raggiungere il punto esatto della trappola infernale. Alfredino comunicava con la madre, il vigile del fuoco Nando Broglio, scomparso qualche anno fa, gli parlò con un megafono per 24 ore mentre il tempo passava inesorabile e l’Italia rimaneva davanti alla tv. Sul posto era arrivato anche l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. Si fece dare il microfono e provò a incoraggiare il bambino. La perforazione del terreno riuscì ad arrivare al punto in cui si sarebbe dovuto trovare il bimbo: ma il piccolo era scivolato a oltre 60 metri di profondità probabilmente per le vibrazioni del terreno durante gli scavi. L’unica soluzione fu dunque quella di calarsi nel pozzo: ci provò Angelo Licheri, ribattezzato l’ ‘Uomo Ragno’. Era riuscito a resistere 45 minuti in quelle viscere appeso a una corda e a testa in giù. Parlò ad Alfredino raccontandogli favole, mentre nel frattempo gli toglieva il fango dagli occhi e dalle labbra. ”Lo afferravo e scivolava via, non potevo fare nulla”, raccontò Licheri. Poi ci provò lo speleologo Donato Caruso che lo raggiunse senza riuscire a prenderlo. La mattina del 13 giugno venne calato uno stetoscopio nel pozzo scoprendo che non vi era più battito cardiaco: il corpo di Alfredino venne raccolto da tre squadre di minatori l’11 luglio, un mese dopo la caduta. Dopo l’incidente di Vermicino, Pertini sollecitò la creazione di una struttura permanente di protezione civile. Quarant’anni da Vermicino Tra le immagini più strazianti di quei giorni, ci sono quelle della madre di Alfredino, Franca Rampi, il volto della speranza e della disperazione. “Di quella diretta”, ricorda Biondo, psicoanalista del Centro Alfredo Rampi Onlus, “resta la forza di Franca. Davanti a quelle telecamere non accettò di esibire il proprio dolore e proprio per questo fu trattata male da una certa stampa conformista dell’epoca. Reagì al dolore con grande forza: fece subito un appello per mobilitarsi come cittadini e istituzioni, fondò dopo poco l’associazione a nome del figlio perché nessuna mamma dovesse vivere il dramma che aveva vissuto lei. Fu l’unica diretta di tre giorni che raccontò davvero la realtà: in cui si vide la confusione, la disorganizzazione, la pressione psicologica sui soccorritori e il paese ne rimase traumatizzato. Fu davvero un racconto della realtà, mentre i reality oggi sono solo finzione”. Se sul versante della prevenzione c’è ancora molto da lavorare, su quello dei soccorsi “al contrario si sono fatti passi da gigante – sottolinea lo psicanalista – e in Italia dopo 40 anni è cambiato tanto purtroppo e al tempo stesso grazie a Vermicino. Tutto quello che all’epoca è mancato e che purtroppo, forse, ha generato anche il fallimento del salvataggio di Alfredino è migliorato. Abbiamo imparato che c’era bisogno di un sistema organizzato di soccorsi, un coordinamento tra soccorritori che a Vermicino non c’era”. Grazie all’impegno dell’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini che disse a Franca Rampi: “Per lei ho creato un ministero che non esisteva”, nacque il ministero della Protezione Civile. “Ma Franca Rampi e tutti noi abbiamo combattuto per 11 anni – ammette – per avere una legge sul sistema nazionale della Protezione Civile, legge che venne alla fine approvata nel ’92 e che oggi diamo per scontata”. In questi 40 anni il Centro Alfredo Rampi ha promosso la cultura della sicurezza, dell’educazione alla protezione da rischi ambientali, del soccorso tecnico ed emotivo nelle emergenze. Sono stati quasi 60mila bambini e ragazzi che hanno partecipato a campi scuola, corsi di formazione, seminari in classe, corsi naturalistici organizzati dal Centro per insegnare ai minori come imparare a proteggersi. “Fino a diventare – puntualizza Biondo – un punto di riferimento nazionale per la formazione dei soccorritori”. (fonte rainews)

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